Santuario Casa di Santa Caterina

MAPPA

Santuario Casa di Santa Caterina

Perché il luogo più rappresentativo della santa è la sua casa e non un convento? La risposta risiede nell’appartenenza di Caterina al Terz’Ordine domenicano. Dopo aver vestito l’abito di terziaria (o mantellata), Caterina continuò infatti a trascorrere la vita nella sua casa natale, in accordo col nuovo modo di vivere la consacrazione a Dio introdotto per primo da San Francesco e accolto poi anche da san Domenico.
L’istituzione del Terzo Ordine rappresentò la risposta a tutti quei fedeli laici, uomini e donne, che, pur senza vivere in convento come i frati, desideravano praticare una vita cristiana intensa, ispirata alla spiritualità dell’uno o dell’altro Padre fondatore.  L’appartenenza al Terzo Ordine offre, in altre parole, la possibilità di vivere la fede nel mondo. Sin dal XIII secolo, questa proposta di ‘santità laicale’ conquistò un gran numero di persone, grazie alla forza del messaggio ad essa sotteso: in tutti gli stati di vita si trova l’opportunità di vivere il Vangelo e la chiamata alla santità non è riservata ad alcuni, ma assume un carattere universale.
La figura di Caterina ne è un esempio emblematico: il trascorrere la sua esistenza entro le mura domestiche e per le strade della città anziché in un convento, il suo essere laica anziché suora, non le impedirono di entrare in comunione profonda con Dio e di vivere secondo i suoi insegnamenti.
Il complesso si articola in vari ambienti: una volta attraversato il cosiddetto Portico dei Comuni, si arriva ad un piccolo atrio a loggia cinquecentesco, cui segue un secondo atrio. Sul lato destro di quest’ultimo si trovano la Chiesa del Crocifisso e la Cappella delle Confessioni, mentre sul lato opposto si affaccia l’Oratorio della Cucina. Sempre sulla sinistra si trova una scalinata che conduce al piano inferiore, dove è situato l’Oratorio della Camera.

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Ubicata nel territorio di Fontebranda e appartenente all’Arte della Lana, la casa si articola su tre livelli. Nel corso della prima metà del Trecento venne data in affitto al padre di Caterina, il tintore Jacopo Benincasa, come fondaco per tingere i panni e dimora della sua numerosa famiglia.
In seguito al declino dei Benincasa, l’edificio passò in proprietà ad un altro tintore, fino a che nel 1466, poco dopo la canonizzazione di Caterina, il Comune di Siena decise di acquistarlo, spinto dalle suppliche dei cittadini di Fontebranda, desiderosi che la casa della loro santa fosse per sempre aperta alla pubblica venerazione.Era già sorta a quell’epoca una confraternita laicale dedicata a Caterina, cioè un’associazione di fedeli con lo scopo di opere di carità, penitenza e culto.
Proprio grazie all’attività dei confratelli, sostenuta dalle tante elargizioni dei devoti, ebbe inizio una serie di interventi che si protrasse per secoli, trasformando la casa in un vero e proprio santuario, ricco di opere d’arte che ripercorrono ed esaltano la vita della santa.

Portico dei Comuni

Il portico sorse in seguito alla proclamazione di Caterina Patrona d’Italia del 19 giugno 1939, quando si decise di ampliare l’accesso al santuario per favorire il passaggio di pellegrini e turisti che si recavano in visita ai luoghi della santa, abbattendo la chiesa di Sant’Antonio.
Ogni comune d’Italia contribuì alla sua realizzazione donando la cifra necessaria per l’acquisto di un mattone, da cui la denominazione del portico. I lavori, iniziati nel 1941, subirono un’interruzione a causa degli eventi bellici relativi alla Seconda Guerra Mondiale, per poi essere portati a compimento nel 1947.
L’unico elemento antico rimasto in quest’area è il bel pozzo in travertino che si trova sulla destra, databile tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.
Sotto il portico sono collocati i busti di quei papi che hanno legato il loro pontificato alla figura di Caterina: Pio II, il senese Enea Silvio Piccolomini, che sancì la sua santità il 29 giugno 1461; Pio IX, che nel 1866 la proclamò Compatrona di Roma, per aver riportato da Avignone nell’Urbe la sede pontificia; Pio XII, che la volle Patrona d’Italia il 19 giugno 1939; Giovanni XXIII, che nel 1961, nel quinto centenario della canonizzazione, invitò tutti i cristiani a celebrarla; Paolo VI, che nel 1970 la proclamò Dottore della Chiesa universale “tenuto conto dell’insigne santità di vita, dell’eminente dottrina e della sua benefica efficacia sulla vita della Chiesa”; infine Giovanni Paolo II, che nel 1999 la volle Patrona d’Europa, in virtù dello straordinario impegno di Caterina per portare la pace nell’Europa del suo tempo, attraverso i molteplici richiami con cui esortò re e principi a costituire una società ispirata ai valori del cristianesimo.
Nel portico, in occasione delle Feste annuali in onore di Santa Caterina, si svolge una cerimonia durante la quale un comune italiano o un’associazione dona l’olio per alimentare la fiamma della lampada votiva voluta dalle mamme dei soldati caduti durante la Seconda Guerra Mondiale, collocata all’interno della chiesa del Crocifisso. Tutti i vasi in terracotta e porcellana donati negli anni per contenere l’olio per la lampada si trovano esposti in una nicchia situata lungo il fianco destro della stessa chiesa e nel piccolo bookshop che si apre a sinistra dell’atrio di ingresso.

Chiesa del crocifisso

L’importanza della chiesa e la sua stessa ragion d’essere risiedono nella presenza del crocifisso ligneo (1) dal quale santa Caterina ricevette le stimmate (dal greco stigma: marchio), ovvero delle piaghe simili a quelle inflitte a Gesù Cristo durante la crocifissione.
L’evento miracoloso avvenne a Pisa, dove la santa si era recata nel 1375 dietro richiesta di papa Gregorio XI, con l’incarico di convincere i Signori della città a non aderire alla lega antipapale. Nella Legenda Major, Raimondo da Capua narra che il 1° aprile dello stesso anno, mentre era assorta in preghiera nella chiesa di Santa Cristina, Caterina vide scendere dal crocifisso davanti al quale era inginocchiata cinque raggi di colore rosso sanguigno diretti alle sue mani, ai piedi e al cuore. Subito ella chiese a Dio che le stimmate fossero invisibili e, prima che i raggi la raggiungessero, cambiarono il loro colore, divenendo splendenti di luce. Rimasero visibili solo alla santa per tutta la durata della sua vita, finché, al momento della morte, apparvero miracolosamente. La validità delle stimmate di Caterina venne riconosciuta in maniera ufficiale solo nel 1623 da Urbano VIII, dopo una disputa durata circa due secoli.
Come era avvenuto per San Francesco d’Assisi, che fu il primo santo a ricevere le stimmate, anche per Caterina l’episodio segna il culmine del cammino spirituale e rappresenta la sua identificazione con Gesù Cristo: Caterina diventa in tutto conforme al Signore crocifisso e come Lui arde dello stesso desiderio per la salvezza degli uomini. La richiesta di invisibilità delle stimmate da parte della santa risponde al suo rifiuto di ‘spettacolarizzazione’ dell’evento miracoloso, in accordo con la straordinaria umiltà che caratterizzò tutta la sua esistenza.
All’indomani della morte di Caterina, i senesi desiderarono avere quel crocifisso che l’aveva resa perfetta icona dell’amore di Cristo; dopo molti tentativi, l’impresa riuscì alla Confraternita dedicata alla santa e nel 1565 la croce lignea venne portata a Siena e collocata nell’Oratorio della Cucina.
Col passare del tempo, tuttavia, si cominciò a pensare ad un ambiente più ampio che ne favorisse la venerazione. L’unico spazio disponibile era quello antistante l’oratorio della Cucina, ritenuto tradizionalmente l’orto della famiglia Benincasa. Fu proprio in quest’area che, tra il 1614 e il 1623, venne edificata in forme barocche la chiesa del Crocifisso, la cui decorazione andò avanti per oltre un secolo (2).
Il crocifisso, una tavola dipinta di scuola pisana databile intorno alla fine del Duecento, venne collocato al centro dell’altare maggiore, nella posizione più eminente della chiesa, il 21 maggio 1623, dopo una solenne processione attraverso i maggiori luoghi di culto della città. È racchiuso da una cornice provvista di due sportelli, nel cui lato interno sono raffigurati santa Caterina e san Girolamo penitente, entrambi opera del senese Bartolomeo Neroni, detto il Riccio (3-4).
I numerosi dipinti collocati sulle pareti della chiesa ripercorrono momenti significativi della vita di Caterina, ponendo l’accento in particolare sugli straordinari risultati da lei ottenuti in campo politico a beneficio della Chiesa, quali l’aver riportato da Avignone a Roma la sede papale, mettendo fine alla cosiddetta “cattività avignonese” (1308-1377), e l’aver ristabilito la pace tra Firenze e lo Stato Pontificio, da tempo in guerra tra loro. L’eccezionalità dell’operato della santa, intuita già a partire dai suoi contemporanei e compresa pienamente nel corso dei secoli, mostra di cosa sia capace una creatura umana, per di più donna e quasi analfabeta, quando sa ascoltare la voce di Dio, consacrandogli generosamente la propria esistenza.

Tre delle quattro grandi tele che occupano la navata della chiesa sono dedicate proprio a questo particolare aspetto della vicenda di Caterina. Partendo dall’ingresso, il primo dipinto della parete destra raffigura il Ritorno del Papa Gregorio XI a Roma, opera del pittore Niccolò Franchini datata 1769 (5), affiancata dalla tela con Caterina che esorta Gregorio XI a tornare a Roma, eseguita dal bolognese Alessandro Calvi, detto il Sordino (6).
Sulla parete opposta troviamo Santa Caterina assalita dai soldati fiorentini, dipinto realizzato da Galgano Perpignani nel 1765, che rievoca uno dei momenti dell’opera di pacificazione tra Firenze e il Papato (7).
La quarta tela, eseguita da Liborio Guerrini nel 1777, raffigura l’Elemosina di Caterina, con la santa attorniata da poveri, intenta a distribuire loro il pane (8). In realtà nella Legenda Major si racconta che ella fosse solita portare le elemosine di notte, lasciandole davanti alle porte delle famiglie indigenti, in accordo con gli insegnamenti del Vangelo, in cui si dice che l’elemosina deve essere nascosta e non mettere in evidenza chi la pratica.

I dipinti posti sui due altari ai lati del transetto raffigurano, a destra, di nuovo Santa Caterina di fronte a Gregorio XI ad Avignone, opera settecentesca di Sebastiano Conca (9), e a sinistra Santa Caterina accolta dalla Madonna in paradiso e presentata a Gesù Cristo, tela realizzata da Rutilio e Domenico Manetti nel 1638 (10). Nel dipinto, Caterina è raffigurata secondo un’iconografia inusuale, con indosso l’abito bianco privo del consueto mantello nero e con in testa una triplice corona. Quest’ultima rimanda ad un episodio della Legenda Major, in cui una donna di nome Semia, ricevuto un miracolo da Caterina, aveva sognato la santa in paradiso con tre corone sul capo -una d’oro, una d’oro e d’argento con riflessi rossi e una d’oro con pietre preziose- da identificare con la cosiddetta triplice corona aureola (o corona aureola accidentalis) simbolo di verginità, martirio e dottrina. Il dipinto, realizzato solo pochi anni dopo il riconoscimento delle stimmate, è da considerarsi una delle prime rappresentazioni su tela della glorificazione della santa.
Sempre nel transetto sinistro, sulla parete sinistra, è collocato lo stendardo raffigurante Santa Caterina che riceve le stimmate dal crocifisso, realizzato dallo Rutilio Manetti nel 1630 su commissione della Confraternita intitolata alla santa (11), mentre di fianco all’altare si apre una piccola nicchia all’interno della quale è custodito un reliquiario contenente un frammento della sua scapola.

Ai lati del presbiterio si trovano due dipinti di Giuseppe Nicola Nasini raffiguranti, a sinistra, L’estasi di santa Caterina e a destra La santa che scrive ispirata da san Giovanni Evangelista e da san Tommaso d’Aquino, il teologo domenicano ai cui insegnamenti si ispira l’opera della santa (12-13). Sempre allo stesso Nasini si devono gli affreschi della cupola e delle volte con la Glorificazione ed esaltazione di Caterina, realizzati tra il 1701 e il 1703, in cui ella è accolta in paradiso e resa partecipe della gloria celeste (14).

Oratorio della cucina

La sala comprende lo spazio un tempo occupato dalla cucina della famiglia Benincasa, fulcro della vita domestica (1). Attraverso la grata collocata sotto all’altare, nella parete opposta all’ingresso, sono tuttora visibili i resti dell’antico focolare: proprio in questo focolare acceso Caterina cadde durante una delle sue estasi, rimanendo miracolosamente illesa. Tra le mura domestiche la santa trascorre la prima fase della sua vita, tra incessanti preghiere, penitenze, momenti di contemplazione e colloqui con l’Eterno Padre, fino al momento in cui ella sarà chiamata da Dio alla concreta attività di sostegno alla Chiesa e al Papato, che culminerà nel viaggio ad Avignone, la più grande impresa diplomatica nell’Europa del XIV secolo, il cui frutto fu di riportare il seggio papale a Roma.
Circa un secolo dopo la morte di Caterina, nel 1482-1483, la Confraternita a lei intitolata scelse questo spazio come luogo di riunione per i confratelli, che di lì a poco posero sulla parete di fondo, sopra all’altare, la tavola realizzata nel 1496 dal pittore senese Bernardino Fungai (2). Il dipinto, commissionato con ogni probabilità dai Saracini, una delle famiglie più importanti di Siena, presenta nello scomparto centrale l’episodio della stimmatizzazione della santa, il momento più alto del suo percorso spirituale. All’epoca dell’esecuzione dell’opera, il crocifisso da cui Caterina aveva ricevuto le stimmate, oggi conservato nella chiesa di fronte all’Oratorio, si trovava ancora a Pisa e sarebbe stato portato a Siena solo alcuni decenni più tardi, nel 1565. Pochi senesi, prima di allora, dovevano averlo visto. Questo spiega perché il crocifisso del Fungai è raffigurato come una scultura e non come una croce dipinta, quale è in realtà. La pala presenta inoltre una predella sottostante con scenette della vita di Caterina e due pannelli laterali occupati dalle figure di San Domenico e San Girolamo, opera dallo stesso Fungai. La parte superiore con il Padre Eterno e due Profeti, venne invece aggiunta alcuni decenni più tardi, nel 1567, dal senese Bartolomeo Neroni, detto il Riccio.
Fu proprio intorno alla metà del Cinquecento che la Confraternita decise di ampliare l’Oratorio e di dare inizio ai lavori di arredo e di decorazione sotto la guida dello stesso Riccio, che seppe conferire all’ambiente un carattere omogeneo e unitario. All’artista si devono, oltre ad alcuni dipinti, il disegno del bel soffitto a cassettoni blu e oro (realizzato dall’intagliatore Bastiano di Girolamo) e del ricco rivestimento ligneo delle pareti, che incornicia e raccorda le varie tele. Completano l’ambiente il coro in legno e il pavimento costituito da mattonelle in maiolica policroma rinascimentale, molte delle quali purtroppo deteriorate e sostituite nel tempo (3). Proprio per preservare il prezioso pavimento, l’oratorio è stato dotato lungo il perimetro di una pedana trasparente rialzata, che permette il passaggio dei visitatori senza arrecare ulteriori danneggiamenti.
Le numerose tele che ornano le pareti di questo ambiente, commissionate dalla confraternita a diversi artisti, rappresentano episodi della vita di Caterina, tratti principalmente dalla Legenda major di Raimondo da Capua. In corrispondenza dei quattro angoli sono inoltre raffigurati altrettanti santi e beati senesi.

Parete sinistrA

Entrando, a sinistra, preceduta dalla tela con il Beato Giovanni Colombini di Alessandro Casolani (1), si trova la prima delle tre grandi scene che ornano la parete, realizzata da Pietro Sorri nel 1587 e raffigurante Caterina che libera una fanciulla indemoniata (2). La santa stessa venne tentata più volte dal demonio, ma, con l’aiuto della grazia divina, non cessò mai di resistere ai suoi assalti.
La tela successiva, opera di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, datata 1582, rappresenta la comunione miracolosa di santa Caterina (3). La scena è ambientata nella basilica di San Domenico, dove, durante la Santa Messa, nel momento in cui il sacerdote spezza il Pane, Gesù Cristo si manifesta a Caterina e le dona se stesso, irradiandola con un fascio di luce. Più volte nel corso della sua esistenza la santa ricevette l’Eucarestia direttamente da Gesù. Diversamente dalle consuetudini del suo tempo, Caterina era solita comunicarsi tutti i giorni, rivolgendosi al suo confessore con le parole “Padre, ho fame”. Ella considerava l’ostia consacrata il nutrimento della sua anima e uno straordinario dono d’amore che Dio ci rinnova continuamente per alimentare il nostro cammino di fede.
Il terzo dipinto, eseguito da Lattanzio Bonastri intorno al 1580, testimonia la misericordia di Caterina nei confronti dei carcerati e dei condannati a morte, che elle andava a visitare periodicamente, cercando sempre la conversione delle loro anime. Nella scena, la santa è raffigurata mentre chiede al Signore la salvezza di due malfattori condotti al patibolo, tra i tormenti inflitti loro da una schiera di demoni. Ancora più in alto, le nubi si squarciano ed appare Gesù con la croce alle sue spalle, evidente riferimento alla Passione e allusione al supplizio che i due uomini stanno per subire. Il racconto della Legenda major dal quale trae origine il dipinto prosegue con il pentimento e la conversione dei condannati, che affrontano coraggiosamente la morte, uniformandosi alla volontà del Signore (4).
Chiude la serie delle opere della parete sinistra la tavola di Gaetano Marinelli con il Beato Ambrogio Sansedoni , datata 1872 (5).

parete di fondo

Occupata nella parte centrale dalla pala del Fungai, la parete ospita ai lati due dipinti eseguiti dal Riccio poco prima della sua morte (1571) e forse completati da Arcangelo Salimbeni. Quello di sinistra raffigura Gesù che porge a Caterina la crocetta di cui la santa gli aveva fatto dono in veste di mendicante (1); quello di destra presenta la santa che offre il mantello a Gesù sotto le sembianze di un pellegrino (2). Entrambi fanno parte degli eventi miracolosi che costellarono la vita di Caterina e sono testimonianza del suo straordinario spirito caritativo. Si trovano raffigurati anche in due tele poste all’interno della Basilica di San Domenico, nella Cappella delle Volte, dove gli episodi ebbero luogo.

Parete destrA

La parete presenta, partendo dal fondo, una tavola raffigurante un altro grande santo senese, san Bernardino, dipinto da Pietro Aldi nel 1872 (1).
Segue la prima delle tre grandi scene, iniziata dal Riccio e portata a termine da Arcangelo Salimbeni nel 1578, che ha per soggetto le Nozze mistiche di santa Caterina, testimonianza della sua profonda unione con Cristo (2). La raffigurazione è tratta dalla versione dell’evento riportata nella Legenda Major: nella notte di un martedì grasso, mentre per le strade il popolo festeggiava il Carnevale, Caterina, chiusa nella sua camera, era assorta in preghiera. Improvvisamente le apparvero il Signore e la Madonna, in compagnia di San Domenico, San Paolo, San Giovanni Evangelista e il santo re Davide che suonava la cetra. La Madonna prese allora la mano destra della santa e la porse a Cristo che la adornò di un prezioso anello, sposandola nella fede. Nell’episodio cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina: Cristo è per lei come uno sposo, al quale ella è unita da un rapporto di comunione e di fedeltà. Egli è il bene amato sopra ogni altro bene.
La scena immediatamente successiva mette in evidenza l’attività ‘politica’ di Caterina, tanto che la vicinanza delle due tele può essere considerata rappresentativa dei due aspetti fondamentali della vicenda della santa. Ella, infatti, non fu solo una grande contemplativa che visse le esperienze mistiche più alte (come quella delle Nozze appena osservate), ma allo stesso tempo una donna d’azione volta a impegnare le sue doti di intelligenza, di cuore e di volontà in molteplici attività sociali, in interventi di pacificazione tra i popoli e in trattative diplomatiche tra Papato e governi. La scena, eseguita dal Pomarancio nel 1582-1583, raffigura infatti il Colloquio di Caterina con papa Gregorio XI, avvenuto ad Avignone alla presenza del collegio cardinalizio, durante il quale la santa convinse il papa a riportare la sede pontificia a Roma (3).
La terza scena, opera di Alessandro Casolani realizzata tra il 1582 e il 1583, presenta un soggetto analogo, ovvero la Consegna delle chiavi di Castel Sant’Angelo a Urbano VI, dopo che Caterina aveva riportato il popolo sotto l’obbedienza al papa (4). La tela fa riferimento al Grande Scisma d’Occidente consumatosi nel settembre 1378: quando i cardinali francesi elessero l’antipapa Clemente VII, Caterina si fece sostenitrice di Urbano VI, esortando chiunque a riconoscere la sua autorità come legittimo successore di Pietro. Come si legge più volte nell’Epistolario lasciatoci dalla santa, il pontefice, i sacerdoti e più in generale la Chiesa rappresentavano per lei Gesù Cristo in terra e, in quanto tali, ad essi di dovevano amore e obbedienza, nonostante le loro eventuali ‘miserie’ umane.
Chiude la serie di dipinti della parete destra la tela con il Beato Andrea Gallerani di Alessandro Casolani (5).

parete di ingresso

La parete opposta all’altare, ai cui lati si trovano i due accessi all’ambiente, è occupata nella parte centrale da una grande nicchia, fatta realizzare da un esponente della famiglia Tolomei per i governatori della Confraternita, che qui sedevano durante le riunioni. Al suo interno Francesco Vanni nel 1600 dipinse a olio la Canonizzazione di Santa Caterina, raffigurando la cerimonia solenne presieduta da papa Pio II alla presenza delle spoglie della santa (1). Ai lati della composizione si trovano invece san Bernardo e la beata Nera Tolomei, due religiosi senesi vissuti tra il XIII e il XIV secolo, la cui presenza nella scena è dovuta alla loro appartenenza alla stessa casata del committente dell’affresco.
Ai lati della nicchia, sopra le porte di ingresso all’Oratorio, sono collocati quattro dipinti. Quello in alto a sinistra, opera di Rutilio Manetti e bottega del 1635 circa, rappresenta Caterina fanciulla sorpresa dal padre a pregare con la colomba dello Spirito Santo sopra alla testa, episodio che segna il momento in cui la famiglia della santa, che fino ad allora aveva ostacolata la sua vocazione, decide di lasciarla libera di seguire la propria strada (2). Al di sotto è posta la tela di Pietro Sorri raffigurante Gesù che offre a Caterina due corone, una d’oro e l’altra di spine. La santa sceglie la seconda, affermando in tal modo la sua volontà di conformarsi alla Passione di Nostro Signore (3).
Le ultime due tele, collocate a destra della nicchia, raffigurano in alto Caterina in preghiera davanti a Gesù legato alla colonna, realizzata da Rutilio Manetti e bottega nel 1635 (4), e in basso Gesù che scambia il suo cuore con quello di Caterina, opera di Francesco Vanni del 1585, che testimonia ancora una volta l’unione profonda con il Signore e l’uniformarsi della santa ai sentimenti del cuore di Cristo, per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama (5).

Oratorio della camera

Scendendo la scalinata posta sulla sinistra dell’atrio di ingresso, si arriva all’Oratorio della Camera (1), che ingloba il piccolo cubicolo in cui Caterina pregava e riposava: al suo interno è tuttora visibile, protetta da una grata in ferro, la pietra sulla quale ella era solita poggiare la testa.
È questo lo spazio maggiormente legato alla prima fase della vita della santa, dove, poco più che bambina, ella si ritirava in isolamento, dedita alla contemplazione e alla penitenza. Qui, a soli sette anni, fece voto di perpetua verginità, rinunciando nel contempo a tutti i piaceri materiali: cominciò a privarsi del cibo e del sonno, ad indossare il cilicio e sottoporsi a flagellazioni.
Questo periodo rappresenta il punto di partenza del quel processo di trasformazione spirituale, ma anche fisica, che caratterizza la vita di Caterina: come il battito del cuore, ella prima si contrae, si raccoglie in sé per conoscere Cristo, e poi si apre per diffondere la grazia di Dio in tutto il corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Così, da principio, il corpo della santa, costretto a durissime privazioni, si riduce, si rimpicciolisce. Anche lo spazio in cui ella si muove è contrassegnato da un progressivo ritrarsi: si rinchiude in casa, poi non esce più dalla sua stanza, infine si mura dentro una cella spirituale costruita nell’intimo della propria anima, dove continuo è il dialogo con Cristo. Caterina, a questo punto, non ha nulla, non è nulla, ma proprio per questo è suscettibile di essere completamente rimodellata dalla grazia divina. Il suo nuovo corpo non è regolato dall’ordine biologico, ma funziona secondo le disposizioni dell’Assoluto: si nutre del cibo eucaristico e del sangue che sgorga dal costato di Cristo, si identifica completamente in Lui fino ad assumerne le stimmate. Riceve capacità straordinarie: levitazione, invulnerabilità al fuoco, dono di compiere i miracoli. L’anima supera i confini del corpo, ne esce fuori, nell’estasi, per poi rientrarvi e uscire per le strade del mondo. Caterina lascia la cella, poi la casa, infine Siena, per portare a tutti l’amore di Cristo che ha conosciuto nell’intimità.

L’oratorio è un ambiente di dimensioni ridotte, completamente ristrutturato nel 1874 su disegno dell’architetto Pietro Marchetti, lasciando allo stato primitivo il solo cubicolo. La parete di fondo presenta un piccolo altare che ospita l’opera d’arte più antica dell’oratorio: la bellissima tavola con Santa Caterina che riceve le stimmate, eseguita da Girolamo di Benvenuto intorno ai primi anni del Cinquecento (2).
Le pareti vennero invece affrescate da Alessandro Franchi con la collaborazione di Gaetano Marinelli nel 1896. Il ciclo, ispirato alla Legenda major di Raimondo da Capua, ha inizio dal fondo della parete destra.

parete destra

Il primo episodio raffigura Lapa, la madre di Caterina, che osserva la figlioletta salire le scale sospesa in aria, prendendo coscienza in tal modo della diversità della fanciulla rispetto agli altri figli (1). La precocissima vocazione di Caterina fu motivo di forti contrasti con la famiglia, in special modo con la madre, che giudicava i suoi comportamenti puerili fanatismi, tentando con ogni mezzo di porvi fine.
Decise per prima cosa di farle prendere marito e, dopo vari diverbi, Caterina ribadì l’ irrevocabilità della sua scelta tagliandosi i capelli, cosa all’epoca ritenuta assai disdicevole per una ragazza. L’affresco successivo mostra proprio la fanciulla nell’atto di recidere la lunga chioma alla presenza del frate domenicano Tommaso della Fonte, le cui parole l’avevano spinta a compiere quel gesto (2).
In seguito a quell’episodio, la madre cercò di piegare Caterina costringendola ai lavori domestici più faticosi e impedendole allo stesso tempo il raccoglimento e la preghiera; decise inoltre di privarla della sua camera personale e di farla dormire con uno dei fratelli, sperando che, in assenza di un luogo dove alimentare le sue ‘fantasticherie’, Caterina sarebbe prima o poi rinsavita. La fanciulla non si ribellò, ma obbedì docilmente, svolgendo tutti i lavori che le venivano imposti e sostituendo alla cella materiale una cella spirituale in cui continuò costantemente a dialogare con Cristo.
Le persecuzioni della famiglia cessarono finalmente quando il padre Jacopo sorprese Caterina a pregare con la colomba dello Spirito Santo che le aleggiava sulla testa, episodio raffigurato nel terzo ed ultimo affresco della parete (3): fu allora che egli si convinse dell’autenticità della vocazione della figlia, costringendo poi anche la moglie a cedere di fronte alla volontà di Caterina di consacrarsi totalmente a Cristo.
Gli affreschi proseguono nella parete adiacente al cubicolo: a sinistra si trova Santa Caterina che dona il mantello a Gesù Cristo sotto le sembianze di un povero (4) e, a destra Gesù che offre a Caterina una corona d’oro e una di spine; la santa prende quella di spine, scegliendo una vita fatta di penitenza, carità verso il prossimo e preghiera (5).

Parete sinistrA

La parete sinistra dell’oratorio è occupata dalle ultime due scene: la prima raffigura le Nozze mistiche di Caterina (1), in cui la santa si dona totalmente a Cristo, mentre la seconda presenta la sua Maternità mistica (2). La scena fa riferimento ad un episodio riportato da Romualdo da Capua nella Legenda Major: in una notte di Natale, la Madonna apparve a Caterina e le pose in braccio Gesù Bambino, rendendola in tal modo ‘madre’. La santa ebbe con gli stessi discepoli un rapporto materno, tanto che per i caterinati di ieri e di oggi ella era e continua ad essere ‘mamma e maestra’.

il cubicolo

Visibile attraverso una cancellata posta a destra dell’ingresso all’oratorio, il cubicolo conserva, oltre alla pietra usata da Caterina per poggiare la testa nei rari momenti di riposo, alcune importanti reliquie della santa, collocate in una teca appesa alla parete sinistra: il pomo del bastone con il quale ella era solita sorreggersi, il vasetto in cui metteva gli aromi per lenire i dolori dei malati dello Spedale di Santa Maria della Scala, la lanterna con cui andava a visitarli nelle ore notturne, una parte del suo velo e la borsa in seta che custodì la testa della santa quando fu trasportata da Roma a Siena nel 1384.
Di fronte alla cancellata, inoltre, si trova una statua in marmo raffigurante Santa Caterina in estasi, opera del 1940 dello scultore Pietro Repossi, dietro alla quale è collocato un piccolo armadio che contiene i libri con i nomi dei componenti dell’Associazione Internazionale dei Caterinati. Nella parete soprastante sono appesi alcuni ex voto, donati da fedeli che hanno ricevuto una grazia in seguito alle preghiere rivolte alla santa (1).

Cappella delle Confessioni

Inaugurata nell’aprile 2006, la cappella è un luogo concepito come spazio per la celebrazione del sacramento della Penitenza e quindi dominato dal silenzio e dal raccoglimento. Il progetto degli architetti senesi Betti, Fineschi e Lamoretti si basa sull’idea della centralità di un oculus luminoso di vetro bianco che dall’alto diffonda luce nell’ambiente, come luce è la Grazia di Dio che sgorga dalla sua misericordia elargita nel sacramento (1).
Sulla destra dell’ingresso si trova l’acquasantiera dell’artista Alberto Inglesi, ricca di simbologia cristiana: la nave rappresenta la Chiesa, l’acqua in essa contenuta è memoria del battesimo. La nave/Chiesa si muove sulle onde della storia ed al suo interno offre l’acqua di vita del battesimo e della Grazia di Cristo.
La parete maggiore dell’aula ospita un affresco realizzato dall’artista senese Ezio Pollai. Al centro è raffigurata la scena della crocifissione di Gesù, secondo la lettura simbolica che ne fa il Vangelo di Giovanni: l’iscrizione sulla croce (nelle tre lingue: ebraico, greco e latino) attesta che Cristo è morto per tutti, rivolgendo a tutti i popoli e a tutte le culture il suo messaggio di amore evangelico; il capo reclinato di Gesù esprime la libera volontà di aderire all’offerta di amore, la postura del corpo unita alla croce non simboleggia la drammaticità dell’evento, quanto piuttosto l’intronizzazione regale di Cristo. La croce, infatti, nel Vangelo di Giovanni, più che un patibolo è un trono dal quale Cristo regna: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12, 32). L’incomprensione degli uomini dinanzi alla morte del Figlio di Dio e il rifiuto del suo messaggio d’amore, viene sottolineato dall’artista girando di spalle, in segno di contrarietà, gli altri due uomini crocifissi ai lati del Signore. Diametralmente opposta a questo atteggiamento di rifiuto è invece la posa adorante di santa Caterina, che fa suo il mistero dell’Amore crocifisso abbracciando il legno della croce. Più in basso, San Francesco alza lo sguardo verso il Signore, in mistica visione. Al lato sinistro della croce sta la figura di Maria, straziata dal dolore, con l’amato discepolo (Giovanni) che le sorregge il capo. Alla destra della croce di Gesù viene rappresentata la scena dello sciacallaggio della divisione delle vesti del Cristo: l’atteggiamento rabbioso con il quale gli abiti vengono contesi mostra l’insensibilità completa di fronte al mistero del dono della vita del Figlio di Dio. Alla base del crocifisso di destra l’esperienza umana della sofferenza è descritta attraverso una figura femminile che si copre il volto; leggermente più in alto è l’immagine della carestia, simboleggiata nel corpo scarno di un figlio tenuto sulle spalle da una donna dai tratti africani.
A sinistra della crocifissione, sono raffigurati due episodi evangelici tra i più importanti per comprendere l’infinito amore di Dio. Il primo presenta la parabola del “buon samaritano” (Lc 10, 29-37), il quale, scendendo dalla sua cavalcatura, presta soccorso ad un uomo percosso e derubato per strada, mentre a poca distanza il sacerdote e il levita si perdono in questioni religiose e teologiche, non curandosi del bisogno del malcapitato e non concretizzando quindi proprio i contenuti di quella fede sulla quale stanno discutendo. L’altro episodio è quello dell’adultera perdonata dal Signore (Gv 8, 1-11), a dimostrazione della grande misericordia di Dio.
Al lato della croce di destra troviamo altre due scene antitetiche: la prima quella del mercenario al quale non interessa il gregge di pecore affidatogli, ma fugge via alla vista dei lupi (cfr Gv 10, 12s); il mercenario rappresenta l’uomo che non ha fatto proprio il messaggio d’amore della croce: la necessità di un amore gratuito nei confronti degli altri, un amore che dona la vita e non usa dell’altro. L’altra scena, in antitesi con la precedente, è quella che rappresenta la parabola del “figliol prodigo” o del “padre misericordioso” (cfr Lc 15, 11-32) che narra di un giovane figlio che fugge dalla casa paterna e, trovatosi in situazione di necessità, decide di farvi ritorno, accolto amorevolmente e con premura dal padre, che esprime tutta la gioiosa misericordia di Dio nei confronti dei figli che tornano a Lui, pur consapevoli di essere in errore. Da notare come, con finezza poetica, l’artista ha riprodotto nel volto del padre misericordioso le fattezze del Beato Giovanni Paolo II, affermando anche in questo modo l’identità del vero pastore opposto al mercenario.
L’angolo di destra del grande affresco è dedicato all’apparizione di Cristo risorto agli apostoli la sera di Pasqua. La scena vuole comunicare l’effetto prodotto dalla crocifissione: il dono della vita e la remissione dei peccati che il Cristo Risorto elargisce. La croce non è l’ultima parola di Gesù, essa è come il chicco di grano che deve morire per portare frutto (Gv 12,24).